di Antonio Castronuovo
La Mandragora Editrice, 2008
Ci sono dei libri che vorresti non finissero mai, ci sono quelle pagine che non sono più cucite le une accanto alle altre, ma sono sparse nello stomaco, nei capelli, sotto le unghie. Pagine che si trasformano in immagini che divengono filtro dei tuoi occhi e sono tue, solo tue.
Diari, appunti, pensieri sparsi, riflessioni, visioni, intuizioni, critiche, impressioni, scoperte, annotazioni, illuminazioni, liberazioni, anche banalità e tanto altro. Basta un pezzo di carta e una penna.
Se dovessi costellare la mia vita di un solo materiale, questo sarebbe fatto di carta e penna, inchiostro e superfici. Basta un blocco di carta per far felici alcune persone.
Ci sono puoi autori con i quali dialoghi, fai esperienza che ti stuzzicano: "Tradizione: un immenso andirivieni di copiature... Ma per quel gioco di sonorità che smussa gli angoli acuti, "tradizione" contiene anche "tradire", cioè voltare le spalle, andarsene cambiando idea. Qualcosa di diverso dal mero copiare. Tradizione diventa così qualcosa di molto vivo: trasmettere copiando - e rinnegare il copiato. Ma per "tradire" si deve prima aver copiato. Ecco perché i veri rivoluzionari guardano al passato..."
Copiare, tradizione, tradire, scrivere e trascrivere, rivoluzione e passato sono solo le parole chiave di una nota del 2002 di Antonio Castronuovo nel suo Se mi guardo fuori" diari e aforismi 1995-2007.
Nessun pesantume, ma una densa, ironica e succosa raccolta di "ossessioni e frenesie". Diari che mostrano la caduta delle illusioni e la conquista del sorriso.
Castronuovo è per una manciata di libri - ma soprattutto per questo - divenuto uno dei miei autori.
Epurato da eventi e considerazioni attinenti alla sfera del privato, Se mi guardo fuori è un testo da maltrattare, da sottolineare, da aprire a caso, 424 pagine di intimità e confronto con la propria visione delle cose.
Pubblicato nel 2008 solo ora, a metà 2012 vede la luce questa mia recensione, tanto anomala quanto dovuta, un personale grazie, rispettando una nota del 1997. "Fare di ogni lettura un'esperienza di scrittura, di espressione. Altrimenti tutto è perso, tutto è gettato al vento. Essere buoni lettori, per essere buoni cercatori di schegge disperse".
Quattro anni che questo libro è sulla mia scrivania, nella mia borsa, in viaggio, sotto il letto, sul comodino. Finito e ricominciato, rifinito ed ora che ricomincia un nuovo giro, mi piace sottolineare il carattere sì disilluso di Castronuovo, ma volitivo e provocatorio: "La vita finisce con la morte? No: finisce quando passi le giornate e vuoi che venga sera, quando sei già annoiato dal mattino, quando ogni giorno è perso - ma tu vuoi che sia perso".
Confermare la propria modulazione di esistenza anche in "Quasi nessuno coglie il trambusto che mi abita, l'ammasso di cose che si attorcigliano, di lacci che si annodano. Quasi nessuno vede la fatica immensa che compio nel tentare di farmi spazio tra il disordine. La frase trasparente che consegno alla pagina è la mia terapia".
Sorridere annuendo scorrendo il lapidario: "Mondo d'oggi. Come educatori funzionano meglio i morti che i vivi". Impastare, digerire e dimenticare tutto, non avere nessuna passione verso il citazionismo, ma tanta memoria verso chi - non volendolo - ti ha offerto una prospettiva e nuove connessioni da confutare e stravolgere.
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